Caso di Studio 1.1: Separare le voci dai fatti in una zona di conflitto in Nigeria
La regione di Jos, nella Nigeria centrale, è tradizionalmente conosciuta come la “Casa della pace e del turismo”. Da parecchio tempo è divenuta lo scenario di una guerra continua tra fazioni religiose e settarie.
La regione si estende a cavallo tra il nord e il sud del paese: la parte settentrionale è a maggioranza musulmana, in quella meridionale predominano invece i cristiani.
Questa crisi ha portato a titoli allarmistici, del tipo: “Aggressori islamici uccidono centinaia di cristiani nei pressi di Jos” e “Musulmani trucidano cristiani nella Nigeria centrale”. Questi e analoghi titoli di giornali hanno spinto alcuni leader religiosi ad accusare i media di incitare alla violenza religiosa con articoli di natura provocatoria.
Ma la violenza nella regione si è fatta mortale, e i giornalisti hanno il dovere di informare in maniera accurata su quanto accade. Per riuscirci, devono passare al vaglio una quantità sempre maggiore di voci incontrollate che si diffondono tramite sms, social media e blog – stando bene attenti a evitare la pubblicazione di notizie false che possano infiammare ulteriormente la situazione.
I giornalisti locali sono esposti anche a intimidazioni, autocensure e timori di ritorsioni da parte delle autorità statali o dei militanti. Le testate internazionali devono far fronte alla scarsità di risorse che costringe i reporter stranieri a lavorare da soli per coprire l’intera regione.
Questa situazione influisce sulla loro conoscenza e sull'attenzione al contesto locale, incrementandone altresì la dipendenza da contenuti prodotti e diffusi da testimoni (spesso anonimi) presenti sul terreno. I giornalisti devono preoccuparsi di verificare ogni notizia, rischiando altrimenti di far aumentare le tensioni e di portare a rappresaglie basate unicamente su voci non verificate.
Nel gennaio 2010, quando le testate d'informazione diffusero la notizia di un altro importante conflitto scoppiato nella regione di Jos, voci non confermate parlavano di gruppi di persone armate di coltelli e machete nei dintorni di case, chiese e moschee. I testimoni apparivano discordanti sulle cause dei disordini: secondo qualcuno, erano dovuti alla ricostruzione delle abitazioni distrutte negli scontri del 2008, mentre altri le imputavano ai tafferugli durante una partita di calcio, e altri ancora all’incendio di una chiesa.
In quei frangenti, anche gli sms svolsero un ruolo importante nell’incitare alla violenza, con messaggi quali: «Massacrateli prima che massacrino voi. Uccideteli prima che uccidano voi». E i blog rilanciavano le foto delle vittime delle violenze.
Il processo di verifica si rivela più cruciale che mai nelle situazioni in cui le percezioni errate e la paura finiscono per pervadere tutte le parti in causa. È essenziale per i giornalisti avere un atteggiamento distaccato dalla passione dei diretti interessati e verificare l’accuratezza dei resoconti che parlano o mostrano visualmente situazioni di violenza etnica o religiosa. Smascherare le false voci di furiose violenze o di crisi imminenti può veramente salvare tante vite umane.
Come in altri casi, anche nella regione di Jos i social media tendono ad amplificare la disinformazione, pur consentendo contemporaneamente ai giornalisti di connettersi e interagire con i cittadini per poter svolgere il loro lavoro. I social media diventano altresì una piattaforma per chiarire le voci incontrollate diffuse da fonti anonime e per verificare le notizie che alla fine creano quel tipo di fiducia e di trasparenza necessarie per evitare possibili intensificazioni del conflitto.
Nella regione di Jos, la verifica delle fonti, effettuata in collaborazione con il pubblico, aiuta i media a svolgere un ruolo importante per far diminuire la tensione e contenere il conflitto. Di conseguenza, ciò incoraggia quel lavoro giornalistico più attento e accurato che è decisamente necessario. Pur non essendo certo l’unica risposta possibile per alleviare le tensioni, un simile impegno nel produrre informazione corretta può fare davvero molto per contrastare la paura, il sospetto e la rabbia che sono alla base di ogni conflitto etnico e religioso.