Capitolo 1: L'informazione affidabile quando scoppia un’emergenza
“… Per continuare a rimanere fonti affidabili di notizie e informazioni, i giornalisti non devono mai presumere nulla e impegnarsi sempre a condurre controlli incrociati e verificare ogni fonte”. — Santiago Lyon, vice-presidente e direttore della fotografia, The Associated Press
Quando un terremoto di magnitudo 8,1 colpì la regione settentrionale dell'India, si diffuse rapidamente la voce che il crollo di 4.000 edifici in una città colpita aveva causato "innumerevoli morti". Secondo altre testimonianze, erano crollati perfino l'edificio centrale di un college e quello del tribunale regionale.
Una situazione analoga a quella seguita al terremoto di magnitudo 9,1 che colpì l'area nord-est del Giappone. Tra la popolazione si diffusero voci quali l'arrivo una pioggia tossica a causa dell'esplosione di una struttura petrolifera e l'impossibilità per le squadre d soccorso di paracadutare viveri e medicinali nel paese.
Si trattava di voci infondate, erano tutte illazioni.
È una verità assoluta: le voci non confermate e la disinformazione accompagnano ogni situazione d'emergenza. Il terremoto in India? Correva l'anno 1934, ben prima dell'avvento di internet e dei social media. Il terremoto del Giappone, invece, risale al marzo 2011. Entrambi gli eventi generarono voci infondate perché l'incertezza e l'ansia — due elementi chiave durante le crisi umanitarie e le situazioni di emergenza — portano la gente a inventare o replicare informazioni non verificabili.
«In breve, le voci infondate nascono e si diffondo quando la gente si sente insicura e ansiosa rispetto a qualcosa che la riguarda personalmente e quando la voce appare credibile in base alla sensibilità di quanti sono implicate nella sua diffusione», sostengono gli autori di Rumor Mills: The Social Impact of Rumor and Legend.
Un articolo su Psychology Today la mette in un altro modo: «La paura alimenta voci infondate. Più l'ansia diventa collettiva, più aumenta la probabilità di voci incontrollate».
Nel mondo iperconnesso di oggi, c'è perfino chi diffonde intenzionalmente false informazioni e bufale, per guadagnarsi qualche “mi piace” e dei follower sui social media, o semplicemente per causare panico.
Il risultato è che il lavoro di verifica è probabilmente più difficile proprio in quelle situazioni in cui è cruciale fornire informazioni accurate. Nel caso di un disastro, che sia di origine naturale o meno, il rischio di notizie inaccurate si amplifica. È può realmente diventare una questione di vita o di morte.
Eppure anche tra voci e bufale c'è sempre un segnale forte e prezioso che mette in luce l'informazione importante. Quando un volo della US Airways fu costretto ad atterrare sul fiume Hudson a New York, un uomo su un traghetto riuscì a far circolare una fotografia mozzafiato che poteva essere stata scattata soltanto da un testimone diretto:
I testimoni sul terreno diventano ancora più preziosi in quei luoghi dove i giornalisti hanno scarso o nessuno accesso e dove neppure le organizzazioni umanitarie riescono a operare. Oggi, spesso questi testimoni e partecipanti sono dotati di uno smartphone per documentare e condividere quello che vedono. Può trattarsi di qualcuno in barca su un fiume, oppure di un uomo appena scampato a un incidente aereo, come questo esempio del 2013:
Il pubblico si affida alle fonti ufficiali quali testate giornalistiche, servizi di emergenza e agenzie governative per avere informazioni credibili e aggiornate.
Al contempo però queste organizzazioni e istituzioni guardano sempre di più al pubblico, alla folla, come fonti di nuove informazioni in grado di offrire importanti prospettive e contesti. Quando questo meccanismo funziona si crea un circolo virtuoso: le fonti ufficiali — strutture istituzionali, ONG e testate giornalistiche — diffondono le informazioni cruciali al momento giusto e lavorano a stretto contatto con i testimoni sul campo che sono i primi a osservare e documentare l'emergenza.
Per raggiungere questo scopo, i giornalisti, le organizzazioni umanitarie e i soccorritori devono imparare a usare i social media e altre fonti per raccogliere, confrontare e verificare le informazioni, spesso discordanti, che si diffondono durante i disastri. C'è bisogno di procedure verificate, strumenti affidabili, tecniche collaudate e funzionali. Ma soprattutto, tutto ciò va implementato prima che avvenga qualche disastro.
In una situazione d'emergenza non si può cercare di verificare al volo le notizie. Non è quello il momento per stabilire gli standard e le pratiche operative per gestire le informazioni prodotte dal pubblico. Eppure è ancora quello che succede in molte – troppe - redazioni giornalistiche e altre organizzazioni.
Fortunatamente negli ultimi anni sono emersi una varietà di strumenti, tecnologie e procedure grazie alle quali chiunque può padroneggiare la nuova arte della verifica. E altre funzionalità sono in continuo sviluppo.
Il punto, in definitiva, sta nel riuscire ad armonizzare due elementi chiave: preparare, istruire e coordinare le persone prima e durante l'emergenza; e fornire accesso e risorse per consentire loro di usufruire al meglio degli strumenti in evoluzione continua che possono aiutarli nel processo di verifica.
In fondo è proprio la combinazione tra il fattore umano e quello tecnologico, operata con diligenza e attenzione, a facilitare un processo di verifica veloce e accurato. Bisogna tuttavia tener presente che si tratta pur sempre di un contesto nuovo, e il quadro di strumenti e tecnologie disponibili tende a cambiare rapidamente.
Questo libro raccoglie i consigli e le competenze migliori tratti dall'esperienza di professionisti di primo piano provenienti da alcune delle strutture giornalistiche più importanti, oltre che da ONG, da organizzazioni di volontariato e perfino dalle Nazioni Unite. Il testo si pone quindi come guida di base per strumenti e procedure che aiutano le organizzazioni e i professionisti a offrire al pubblico informazioni aggiornate e attendibili nel momento in cui sono più urgenti.
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La verità è che anche qualificati professionisti spesso cadono vittime della disinformazione e che la tecnologia può metterci sulla cattiva strada così come esserci d'aiuto. Ciò è ancora più vero quando una gran quantità d'informazione circola a ritmi rapidissimi, e quando tante redazioni e organizzazioni difettano di programmi formali per l'apprendimento di tecniche e procedure per la verifica.
«L'onere del controllo e della verifica dei contenuti prodotti dal pubblico spetta ben più al giornalista che a sgargianti tecnologie», scriveva David Turner in un articolo su Nieman Reports, riferendosi alla squadra della BBC incaricata di curare i contenuti prodotti dagli utenti. «Malgrado qualcuno definisca come ‘informazione forense’ questa nuova specializzazione del giornalismo, non bisogna essere esperti di tecnologia o dotarsi di speciale equipaggiamento per porsi alcune domande fondamentali (e trovarvi risposta), così da stabilire se un'immagine è una messa in scena o meno».
Prendere atto che non esistono soluzioni miracolose né tantomeno test perfetti è il punto di partenza per ogni processo di verifica, nonché per la produzione di informazioni affidabili durante un disastro. Questo impone, ai giornalisti e a chiunque altro, di far propri innanzitutto le norme fondamentali della verifica che esistono da decenni e che non diventeranno mai obsolete.
Nel suo capitolo, Steve Buttry mette a fuoco una questione cruciale che è alla base della verifica. In aggiunta, ecco i punti fondamentali da applicare:
- Mettere a punto piani e procedure prima che succedano i disastri e arrivino le notizie dell'ultim'ora.
- Attivare una struttura di fonti umane.
- Contattare e parlare di persona con la gente.
- Essere scettici quando qualcosa sembra troppo bella per essere vera.
- Consultare fonti credibili.
- Familiarizzare direttamente con i metodi di ricerca e di analisi e con ogni nuovo strumenti.
- Comunicare e lavorare insieme ad altri professionisti – la verifica è un lavoro di squadra.
Un altro principio aggiunto negli ultimi anni è che quando tenti di valutare l'informazione — che sia un'immagine, un tweet, un video o materiali di altro tipo — spetta a te verificare la fonte e il contenuto.
Quando l'Associated Press incaricò Fergus Bell di stabilire le pratiche per confermare e verificare i video prodotti dagli utenti, per prima cosa ripescò i tradizionali manuali interni sulle procedure di verifica, prim'ancora di prendere in esame nuovi strumenti e tecnologie.
«L'Associated Press ha sempre seguito i propri standard, che sono rimasti sostanzialmente immutati e che ci hanno consentito di predisporre flussi di lavoro e procedure funzionali e specifiche relative ai social media», spiega Bell. «L'Associated Press ha sempre cercato in ogni modo di arrivare alla fonte originale da cui poi produrre i propri contenuti. Ed è esattamente la stessa procedura che applichiamo per verificare gli i contenuti prodotti dagli utenti. In molti casi non possiamo verificare una notizia a meno di non parlare direttamente con la persona che l'ha fornita».
Partendo da queste basi, le organizzazioni possono cominciare a definire le procedure ripetibili e affidabili per verificare le informazioni nelle situazioni di emergenza. Una volta stabiliti gli standard interni e la relativa applicazione, diventa assai più semplice verificare le informazioni in circolazione sui social network, che si tratti di possibili eventi, fatti, foto o video.
È in questo contesto che diventa possibile usare al meglio strumenti come i servizi Exif, i plug-in di analisi fotografica, la ricerca avanzata di Twitter, l'archivio di ricerca dei domini (whois) e gli altri strumenti illustrati in questo manuale.
Insieme a questa cassetta degli attrezzi, agli standard e alle procedure relativi all'uso di questi strumenti c'è un altro elemento critico nel crowdsourcing: coinvolgere il pubblico nel processo e lavorare insieme a loro per assicurarci di avere le informazioni migliori quando servono.
Andy Carvin, ex strategista dei social media per la National Public Radio statunitense, è forse il più celebrato professionista della verifica contenuti prodotti dagli utenti, quello con maggior esperienza sul campo. Una volta disse che la chiave era quella di lavorare con il pubblico stesso, per arrivare così, riprendendo il motto della stessa National Public Radio, a «creare un pubblico più informato».
In un intervento al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, Carvin ha spiegato: «Quando arriva una notizia importante, non dovremmo limitarci a usare i social network per rilanciarne i titoli o chiedere agli utenti cosa ne pensano». E ha poi aggiunto:
Non dovremmo mai smettere di chiedere il loro aiuto, ma anzi essere più trasparenti e dichiarare quel che sappiamo e quel che non sappiamo. Dovremmo verificare attivamente le voci infondate reperibili online. Anziché far finta che non circolino, oppure che non sia un problema nostro, dovremmo al contrario farcene carico, sfidare il pubblico a metterle in dubbio, a vagliarle, a capire da dove possano arrivare e perché.
Questo libro è una guida che potrà aiutare tutti noi – giornalisti, operatori d'emergenza, cittadini-reporter e chiunque altro – ad apprendere le competenze e le conoscenze necessarie per lavorare insieme nelle situazioni d'emergenza per separare le notizie dal rumore, per migliorare la qualità dell'informazione a disposizione della società nel momento in cui ce n'è maggior bisogno.