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Capitolo 6: Far lavorare la folla

Mathew Ingram è affermato giornalista e consulente mediatico che negli ultimi vent'anni si è occupato di business, tecnologia e nuovi media, oltre che come consulente sui social media per varie aziende. È redattore capo per la rivista Fortune, dopo aver collaborato a lungo con GigaOM su temi dell'informazione e della cultura web. Fino al 2010 ha curato lo sviluppo e la strategia dei social media per il quotidiano canadese Globe and Mail. Twitter: @mathewi.


L'idea di verificare i fatti e le emergenze grazie all'uso della folla online (il cosiddetto “crowdsourcing”) non è esattamente una novità. La folla, nel più ampio significato del termine, è sempre stata un elemento cruciale per la raccolta e la diffusione delle notizie. Oggi tuttavia tecnologie social come Twitter, Facebook, YouTube e altre ci consentono di instaurare un rapporto collaborativo ben più esteso e su scala più ampia, ma soprattutto ci permettono di farlo in maniera più rapida. Non voglio dire che non ci siano lacune in questo processo, perché ce ne sono – ma complessivamente rappresentano un passo positivo

Proviamo soltanto a pensare a come venivano prodotte le notizie in un passato neppure troppo lontano: quando scoppiava una guerra, un uragano colpiva una certa zona oppure esplodeva una bomba da qualche parte, di solito c'erano ben pochi giornalisti sul posto, a meno che non si trovassero lì per caso. Qualcuno in loco riferiva la notizia a un'agenzia stampa che a quel punto avviava la lenta procedura di verifica, basata su interviste a testimoni oculari, telefonate e così via.

Oggi siamo abituati a seguire l'attualità - in particolare quegli eventi immediati e imprevedibili come i terremoti e gli attentati - su Twitter, nel giro di pochi minuti dall'accaduto. E invece di uno o due testimoni e passanti, possiamo contare su centinaia o addirittura migliaia di loro. Qualcuno si rivelerà inaffidabile, come abbiamo visto per le bombe a Boston o in analoghe situazioni d'emergenza, ma in generale ci consentono di mettere insieme un quadro abbastanza accurato di quanto e come è successo, e ciò avviene più rapidamente che mai.

Ecco dunque una serie di “best practices” [pratiche migliori] per l'emergente settore della verifica collaborativa, pratiche messe a punto da alcuni innovatori del settore, tra cui Andy Carvin, ex collaboratore della National Public Radio statunitense.

Identificare, verificare e contattare le fonti

Nella maggior parte dei casi, il punto di partenza è identificare quelle fonti affidabili per poi curare, aggregare e verificare le informazioni che diffondono. Andy Carvin è stato tra i primi a mettere in piedi quella che abbiamo definito la “redazione Twitter” di fonti basate in Medio Oriente durante la primavera araba, partendo dalle persone che conosceva personalmente e arrivando ad altre fonti locali tramite loro.

«Mi pare importante prestare attenzione a chi si rivolgono queste persone su Twitter, e ogni tanto anche su Facebook», disse Carvin a Craig Silverman in una intervista del 2011. «Sia in Tunisia che in Egitto, posso già contare su mezza dozzina di fonti ciascuno con cui ho rapporti diretti». Chiedendo poi a costoro di raccomandargli o verificare altre fonti trovate su Twitter seguendo determinati hashtag, man mano Carvin ha organizzato liste con centinaia di fonti attendibili. Queste liste gli hanno poi consentito di fare praticamente la cronaca via 'live-tweet’ dei tumulti in corso in quell'area – ricevendo informazioni, ripubblicandole, chiedendo ai follower e alle fonti di verificare certe informazioni, e poi pubblicando i risultati di questo lavoro. Per molti versi si trattava di una procedura piuttosto caotica, ma alla fine ha funzionato.

Per gestire così tanti contatti, egli mise in piedi delle ‘Twitter Lists’ divise per argomento o area geografica. Oggi qualcosa del genere si può ottenere anche con le ‘Facebook Interest Lists’, con le cerchie di Google Plus e simili strumenti, creando delle ‘playlist’ su YouTube e con altri strumenti innovativi.

Carvin si è spinto un passo oltre, iniziando a contattare direttamente o incontrare molte di queste fonti, avviando così un rapporto personale con loro. Molti hanno seguito soltanto il suo lavoro su Twitter, ma la verità è che ha speso un sacco di tempo parlando con costoro via Skype, comunicando via email e con altri mezzi per confermare la loro effettiva identità.

Come già spiegato nei capitoli precedenti, questo genere di fonti e informazioni vanno sempre verificate. Dopo aver fatto una ricerca avanzata su Twitter o su YouTube e altri passaggi per trovare contatti e organizzazioni sul campo o che abbiano accesso a notizie importanti, bisogna darsi da fare per mettersi direttamente in contatto con loro e verificare da dove arrivano le loro informazioni.

Più s'interagisce con le nostre fonti, più ne sappiamo di loro, e più potremo conoscerne i punti di forza, le debolezze, le opinioni e altri fattori utili per poterne valutare le informazioni che condividono sui social media. Man mano che la lista di fonti aumenta, dobbiamo vedere come si comportano, cosa condividono e cosa raccontano. Solo facendo così possiamo confrontare il materiale che arriva e stabilire con esattezza che sta accadendo o meno sul campo.

«Qualcuno di loro sta lavorando attivamente per rovesciare il regime locale», disse Carvin riferendosi alla sue fonti nel corso della primavera araba^1. «Devo tenerlo bene a mente. Forse la risposta è la trasparenza, nel senso che pur se qualcuno può darmi informazioni utili, non devo mai dimenticare che fa parte dell'opposizione».

Coinvolgere le fonti

A un certo punto, durante le violenze in Libia nel 2011, Carvin venne contattato da qualcuno su Twitter che gli chiedeva, e di conseguenza chiedeva a tutta la sua rete, di aiutarlo a verificare se in Libia venivano usate delle armi israeliane. La descrizione di quanto avvenne poi è sintetizzata in uno Storify^2:

Carvin chiese a un elenco selezionato di follower aiutarlo a verificare se il mortaio in questione fosse israeliano. Arrivarono tanti consigli e opinioni, insieme a qualche commento inutile. Alla fine ricevette un'informazione specifica che lo aiutò a risolvere la faccenda:

Quell'arma non proveniva da Israele, bensì dall'India. E non era affatto un mortaio. Carvin spiegò che aveva capito di essere sulla strada giusta perché fonti che non si conoscevano tra loro gli avevano passato l'informazione giusta.

«Nel caso delle cosiddette armi israeliane, è successo semplicemente che tante persone, senza avere alcun rapporto tra di loro, mi passavano essenzialmente le stesse informazioni, così ho incluso qualcuna di queste fonti su Storify», chiarì poi Carvin.

È importante ricordare che gli tornò assai utile il fatto di aver chiesto aiuto in maniera veramente umana e cordiale. Trattò come colleghi giornalisti, piuttosto che come semplici fonti a cui chiedere seccamente qualcosa, tutti coloro con con cui veniva in contatto. I giornalisti e altri che impartiscono ordini ricevono ben poco in cambio, mentre trattare tutti come esseri umani cambia davvero la situazione.

Il reporter di guerra del New York Times C.J. Chivers ha sfruttato un approccio simile a quello di Carvin per verificare le bombe usate in alcuni conflitti e sostiene^3 che un simile processo porta alla verità molto più rapidamente di quanto fosse possibile fare in passato.

Ciò vale per qualsiasi informazione: è assai probabile che nella nostra cerchia social (o nella rete di contatti più ampi online) ci sia qualcuno a conoscenza della verità su una situazione o un evento. Bisogna solo trovarlo.

Aggiunge Chivers: «La prova in questo caso è stata trovata grazie all'aiuto di comuni strumenti dai reporter di guerra sul campo: la buona volontà, una fotocamera digitale, una connessione internet satellitare, un portatile, un account email e alcune fonti con conoscenze specializzate. Ma in più c'è il riflesso del nuovo modo di raccontare la guerra in tempo reale: usare i social media per creare piccoli gruppi di esperti su tali piattaforme».

Chivers si è anche complimentato con un ’citizen journalist‘ inglese^4 di nome Brown Moses. Il suo vero nome è Eliot Higgins, ed è diventato un esperto di armi chimiche soltanto guardando e verificando migliaia di video su YouTube relativi al conflitto in Siria.

Higgins non ha alcuna competenza né in giornalismo né in armamenti militari, ma è diventato un collegamento chiave nella catena delle verifiche, tanto che giornalisti come Chivers o addirittura agenzie di aiuti internazionali si sono appoggiati a lui. Nuove fonti indipendenti come lui riescono a emergere in situazioni particolari, sia perché si concentrano su un singolo tema sia perché si trovano nel posto giusto (o sbagliato) al momento giusto.

Crowdsourcing affidabile

Una cosa che tutti, giornalisti o meno, oltre a coloro che sono impegnati a raccogliere e verificare informazioni durante una crisi, devono ricordare è che anche loro diventano fonti da seguire per qualcun altro, quando usano social media tipo Twitter, Facebook o Google Plus. Ciò significa che qualsiasi informazione priva di riscontri che pubblicano, mentre cercano di verificare qualcosa, contribuisce ad alimentare la confusione collettiva su quel dato evento.

È bene tenerlo a mente quando si rilanciano su Twitter o altrove certi dettagli di cui si cercano riscontri. Il miglior approccio è essere il più possibile chiari su quanto sta succedendo, e ripetere spesso a follower e contatti che state cercando aiuto per la verifica, non che state facendo circolare informazioni non confermate.

Per evitare di creare confusione, siate chiari su quanto sapete, su quanto non sapete e sulle informazioni che avete bisogno di confermare. In alcuni casi, quando si tratta di dettagli delicati o scottanti, è meglio provare a verificare con metodi offline prima di passare ai social media o altri ambiti online. È importante etichettare queste informazioni come "non confermate" o come semplici illazioni, pur tenendo conto che simili definizioni tendono a sparire quando certi contenuti rimbalzano sui social media. Abbiamo tutti la responsabilità di prendere atto di questa realtà, senza aggiungere confusione o disinformazione durante una situazione d'emergenza.

Il potere della folla

Algoritmi e ricerche automatiche possono generare un'incredibile quantità di contenuti quando si tratta di notizie dell'ultim'ora, come spiegato nel capitolo seguente. Ma in fondo soltanto gli esseri umani possono passare al setaccio e trovare un senso a una tale massa di contenuti, in maniera efficiente e in tempo reale. Come dimostrano gli esempi di Andy Carvin e Brown Moses, lo strumento migliore è una rete di fonti affidabili, ciascuna focalizzata su un tema particolare oppure basata in una specifica area geografica – una rete da usare come una vera e propria redazione diffusa.

In ogni caso, mettere in piedi rapporti di questo tipo con le nostre fonti non è un impegno da prendere alla leggera. Non è soltanto uno strumento o un processo per fare il nostro lavoro oppure completare una missione con maggior rapidità ed efficienza. Si tratta di un impegno collaborativo e dobbiamo essere pronti a dare almeno tanto quanto riceviamo.



Published on: 28 January 2014
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